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8 marzo: "A Milano c'è una leadership femminile diffusa"

Intervista su Affatri Italiani, 8 marzo 2021

“Modello Milano” è una espressione decisamente abusata negli ultimi anni, al punto che ognuno tende a darle un significato diverso. C’è chi la usa pensando di evocare l’esempio di un campo progressista molto largo che sa farsi forza di governo, mentre per altri rappresenta la capacità resiliente di una metropoli che continua a produrre ricchezza attraverso vari cicli politici e ora anche socio-sanitari.

Per altri è un’idea di sviluppo urbanistico simboleggiata dallo skyline di Porta Nuova, ma con la formazione del Governo Draghi, al quale le forze del centrosinistra hanno contributo senza proporre donne alla carica di ministro, l’espressione assume anche un altro significato. A Milano, il Pd fa eleggere più donne che uomini e, per la prima volta nella sua storia, dal 2018 è guidato da una donna: Silvia Roggiani, classe 1984, laureata in Scienze Sociali per la Cooperazione e lo Sviluppo. Ad affaritaliani.it ha parlato di una visione politica di tipo femminile che comincia dalle scelte lessicali: “Per tutto il primo anno di mandato ho dovuto produrmi in lunghe e talvolta pedanti spiegazioni sul perché volevo essere chiamata ‘segretaria’ e non ‘segretario’. Non è stato facile farlo capire, anche perché i miei compagni di partito usavano l’espressione con un’intenzione positiva, per dare più autorevolezza al mio ruolo. Il problema in fondo è proprio questo: si pensa che l’autorevolezza vada per forza declinata al maschile”.

Beh, è curioso che ciò accada proprio nel Pd di Milano, visto che a Palazzo Marino da tempo è consolidato l’uso di espressioni al femminile come “assessora” e “consigliera”, peraltro approvate anche dall’Accademia della Crusca. Come è possibile?
“In realtà questa abitudine non è ancora consolidata quanto vorremmo. Dobbiamo continuare a lavorarci, così come lavoreremo sulla doppia preferenza in viste delle prossime elezioni, ma qui a Milano non abbiamo un problema di parità di genere. Anzi: oltre ad avere una segretaria donna, il Pd nel 2016 ha eletto in consiglio comunale più donne che uomini. E anche nel Consiglio Regionale, su cinque rappresentanti, c’è una parità quasi perfetta: tre uomini e due donne. Nel Pd milanese c'è una forte leadership femminile diffusa”

Com’è la situazione, allargando lo sguardo al resto del centrosinistra milanese?
“Non mi sento poi così sola, perché ci sono delle donne a guidare anche gli altri partiti. Italia Viva ha fatto la scelta di avere una doppia figura, una maschile e una femminile, per ogni carica: semmai la questione è che tali cariche non sono elettive, bensì frutto di una nomina. Comunque a Milano dialoghiamo con Alessia Cappello e Roberto Cociancich. I Verdi vengono rappresentati da Elena Grandi, che ha anche un ruolo nazionale, e da Mariolina De Luca. A Milano, quindi, la situazione è molto diversa rispetto ad altre città italiane”

Rispetto al Pd, com’è il confronto tra Milano e le altre realtà nazionali?
“In tutta Italia, ci sono soltanto 12 donne nel ruolo di segretarie provinciali o metropolitane. Se invece guardiamo alle segretarie regionali, ne troviamo soltanto tre. Non è un dato positivo e, oltretutto, stiamo parlando di cariche contendibili, alle quali formalmente non ci è negato l’accesso. Io penso che sia giunto il momento di cambiare le cose, ma per farlo abbiamo bisogno di una duplice azione: serve un’alleanza più forte con gli uomini, ma anche una maggiore presa di coscienza da parte di noi donne, che troppo spesso ci facciamo troppi problemi e risultiamo vittime di noi stesse. Lo dico anche pensando al mio percorso personale”

In che senso?
“In precedenza ero responsabile dell’organizzazione per il Pd metropolitano milanese e quel ruolo mi piaceva. Non ambivo a ruoli diversi o a salire su un palco per parlare alla folla. Stare dietro le quinte mi andava benissimo. Poi, quando collettivamente si è deciso che fossi io la candidata alla segreteria metropolitana, ho subìto degli attacchi, anche dall’interno del mio partito. Si diceva che fossi una figura troppo organizzativa e troppo poco politica, solo perché fino a quel momento avevo cercato di aderire al mio ruolo, che oltretutto mi piaceva molto. Il fatto che fossi una donna – e per giunta giovane – ha rappresentato un doppio ostacolo”

Ma questo è un limite di chi vede le cose in questo modo: perché dice di considerarsi “vittima di se stessa”?
“Penso che il mio percorso personale offra anche degli spunti utili per tutte le donne. Non possiamo limitarci a denunciare la mancanza di parità di genere, ma dobbiamo anche avere il coraggio di metterci in prima linea e di candidarci per i ruoli di responsabilità. Faccio un esempio: sono felicissima del fatto che qualche giorno fa degli uomini abbiano promosso una manifestazione contro la violenza sulle donne, ma anche noi dobbiamo fare la nostra parte: dobbiamo mirare a posizioni di potere, intendendolo come sostantivo, cioè con riferimento alla possibilità di fare concretamente delle cose”

Nella polemica sulla mancanza di ministre indicate dal Pd per il Governo Draghi, c’è chi ha detto che le donne in parte sono corresponsabili del problema, perché anch’esse hanno avallato logiche di tipo correntizio. E’ d’accordo con questo punto di vista?
“Mah, delle correnti si discute da sempre. Forse dovremmo prima chiarirci su un punto: secondo me, il pluralismo all’interno di un partito è un fatto positivo. Se invece le correnti servono solamente per una logica spartitoria, allora è tutt’altra cosa. Ma questo è un discorso che viene a monte della parità di genere: qui il problema è che nei luoghi di potere ci sono quasi sempre solo uomini. Rispetto alla formazione del Governo Draghi, la mancanza di donne è stata sicuramente una ferita, ma questo non mi ha mai fatto dubitare rispetto all’impegno del mio partito per una vera parità e nemmeno di quello personale del segretario nazionale nel trovare i nomi più indicati. E mi è molto dispiaciuto che questo passaggio, per quanto critico, abbia portato a mettere in discussione l’efficacia della Conferenza delle Donne: per me non è questo il punto”

E quale sarebbe, allora?
“La Conferenza delle Donne semmai va potenziata, per darle autorevolezza. A Milano lo abbiamo fatto in anticipo rispetto al resto d’Italia, dandole autorevolezza attraverso un percorso di apertura e partecipazione. Ne abbiamo fatto un ruolo aperto e contendibile anche per quelle donne che, pur non essendo iscritte al Pd, si sentono rappresentate dalle nostre idee”

Crede che sulla parità di genere Milano possa essere d’esempio per il resto d’Italia?
“Mi piacerebbe che lo fosse. A cominciare dalla Lombardia, visto che già nelle altre città della nostra regione la situazione non è uguale a quella di Milano”.

 

 

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